venerdì 4 settembre 2009

Quando Berlinguer usava le denunce.

Dal ritorno dalle vacanze eccomi di nuovo a proporvi il meglio di quanto trovo in rete, ma sconosciuto ai più ed alla maggioranza dei media nazionali, RAI in testa.
Questa volta, rimanendo sul tema denunce e richieste di danni fatte dal Presidente del consiglio Berlusconi ai quotidiani che lo hanno sbeffeggiato per lungo tempo, ecco quanto accadde tempo addietro in casa ex PCI ora PD.

Quando Berlinguer usava le denunce. Anche contro Sciascia
di Vittorio Macioce

Quel giorno Enrico Berlinguer querelò la verità. Era il 1980, un giorno di maggio, il ventitré e Leonardo Sciascia, scrittore, deputato radicale, da qualche tempo deluso dal Pci, partecipò come sempre ai lavori dell’unica commissione che lo stuzzicava davvero, quella sull’affaire Moro. C’era anche Andreotti e Sciascia scelse quell’occasione per far venir fuori un fatto di cui tutti sapevano e nessuno parlava, qualcosa che stava lì, sotterraneo, come un cadavere nascosto. Ecco perché chiese ad Andreotti: «Il governo sa nulla di certi collegamenti tra il terrorismo italiano e un Paese straniero?». Giulio, il presidente, serafico come sempre rispose di no. Non sapeva nulla. Sciascia sorrise, con l’aria di chi sa e non vuole farsi prendere in giro: «Andiamo Andreotti, ma se perfino Berlinguer lo ammette». Andreotti con finto stupore esclamò: e quando? Sciascia, davanti alla commissione, da parlamentare, cominciò il suo racconto. Disse che tre anni prima era stato a Botteghe Oscure, con lui c’era anche Guttuso, ed erano rimasti lì a chiacchierare con Berlinguer. Fu allora che il capo del Pci ammise che i terroristi, insomma le Br, andavano a sparare, ad addestrarsi, in Cecoslovacchia. Berlinguer negò. Mai parlato con Sciascia di queste cose. E poi disse: diffamazione. Lo scrittore avrebbe risposto delle sue verità in tribunale.

Erano tempi diversi, quelli. Buoni per tutti i nostalgici di un certo Novecento. Le querele, quelle querele, non erano un attentato alla democrazia, alla libertà, alla parola. Non c’erano giornali stranieri che scrivevano: censura. Le querele non erano minacce. Sciascia si prese del bugiardo da amici e giornalisti. Sciascia, nella grande casa comunista, non era solo un traditore, ma anche un appestato, un mitomane. Eppure Sciascia aveva solo detto la verità. Lo sapevano tutti. Lo sapeva Andreotti. Lo sapeva Guttuso, che aveva sentito, ma quando fu chiamato a testimoniare disse «nulla saccio» e tra la verità e il partito scelse la menzogna. Fu la fine di una lunga amicizia, tra due siciliani di razza diversa. E lo sapeva anche il buon Enrico e tutti sapevano che Enrico lo sapeva. Facile. Berlinguer lo aveva detto in tv, durante una tribuna politica con Zaccagnini. Tutti e due avevano parlato di certe relazioni pericolose con l’estero, di certi Paesi che davano vitto, armi e alloggio alla banda Moretti. È questo che chiese Sciascia a Berlinguer: «Ma quale è il Paese?». E lo sventurato rispose: «Cecoslovacchia». Insomma, Berlinguer sapeva benissimo che Sciascia non era un mitomane. Sapeva che Sciascia diceva la verità. Eppure lo querelò. Da notare: querelò un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni. Con quella storia mise a tacere, o perlomeno insabbiò una domanda cruciale, di un deputato che stava cercando la verità su Moro. Fu per questo che Sciascia controquerelò Berlinguer per calunnia. E chiedeva «esemplare punizione» per averlo incolpato, «sapendolo innocente», di precisi reati.

Tutti sapevano che Sciascia era innocente. Lo sapeva anche L’Unità che si scoprì cerchiobottista. Scrisse che il povero Leonardo non aveva capito. Lo fece passare per un vecchio un po’ citrullo, che fa domande al grande capo e si perde nelle risposte. Sciascia fu derubricato al ruolo di ex compagno che sbaglia. Il risultato fu che la verità restò sotto terra per qualche anno in più. La storia, a livello legale, finì con un nulla di fatto. Il giudice istruttore chiuse la pratica dicendo che lo scrittore non era perseguibile, in quanto deputato. Berlinguer, che accusò di diffamazione Sciascia, sapendolo innocente, se la cavò ancora meglio. Il tribunale scrisse: il fatto non sussiste. Senza il paracadute parlamentare Sciascia sarebbe stato condannato. Quello che resta da capire è perché Berlinguer usò la querela per nascondere un tassello di verità sul caso Moro. Neppure Sciascia lo capì mai del tutto, ma in un’intervista a Rita Cirio dell’Espresso rispose così: «Sono possibili tante ipotesi, per raggiungere effetti elettorali, per mettersi in regola con i paesi dell’Est, per pura e semplice ingenuità. Si capisce che il termine ingenuità è in questo caso un eufemismo. Insomma, non riesco a spiegarmelo a lume di intelligenza». Magari non voleva essere interrogato in commissione? «È possibile. De Cataldo, che è il mio avvocato, ha parlato anche di tentativo di intimidazione». Il risultato fu che la Cecoslovacchia finì in archivio.

Sciascia e Berlinguer non ci sono più e questa è una storia antica. Solo che serve come paragone. Quando una querela è un attentato alla democrazia e alla libertà di espressione? Quando un uomo replica all’accusa di essere «sessuomane» e «impotente» o quando la verità sulla morte di un uomo viene tradita e seppellita? È una questione di punti di vista.

da il Giornale del 4 settembre 2009, pg. 10