venerdì 12 febbraio 2010

Della Valle contro la Wintour: «Danno gravissimo per la moda e il sistema Paese»


Meno male che qualcuno si ricorda d'avere u  po' d'amor patrio.
La direttrice di Vogue, Anna Wintour,  chiede di spostare il calendario della moda milanese. «Difendiamo le nostre eccellenze» dice a muso duro Diego Della Valle.

L'ha definito «un silenzio assordante». E che altro poteva essere questa totale mancanza di posizione dei grandi stilisti di fronte ai diktat della direttora di Vogue America Anna Wintour? Solo Diego Della Valle, patron di Tod’s, ha convocato d’urgenza una conferenza stampa per dire la sua di fronte a un fatto tanto pesante. «Quel che sta avvenendo è gravissimo per il sistema Paese, per la leadership indiscussa del nostro made in Italy che non può perdere il suo valore e la sua immagine di fronte a mercati emergenti come la Cina e l’India che ci tengono in alta considerazione».

CALENDARIO SPOSTATO - In soldoni è accaduto questo: la settimana della moda milanese è prevista a partire dal 24 febbraio fino al 1° marzo; la potente Wintour ha fatto sapere che lei transiterà per l’Italia dal 26 al 28 per poi andare a Parigi. Immediato il tam tam degli stilisti per obbligare la Camera della Moda a cambiare calendario. Perché la convinzione degli stilisti (anche di quelli che non ne avrebbero più bisogno ormai nell'olimpo delle star dal fashion system), è che «valgo se in prima fila c’ho la Wintour». Più provinciali di così, si muore. «Tant’è che lo stesso tentativo l’ha fatto anche a Parigi», continua Della Valle. Ma la Grandeur le ha fatto marameo e se vuole (anche se c’è la crisi e il dollaro soffre) lei e la sua corte dovranno rimanere in Francia secondo la volontà dei francesi. Invece in Italia detta legge con gran facilità, nessuno la contraddice. «Tre giorni invece di sei sette sono una grande perdita, sia per chi spera che Milano sia il trampolino di lancio che per Milano stessa. Non si può ridurlo a un problema di calendari, di stilisti che litigano per le mezzore. Questo è un problema del Paese intero, è il momento per difendere le nostre eccellenze. Non possiamo apparire come fashonisti in conto terzi».

PICCOLI ARTIGIANI - E continua: «Dov’è l’amor proprio per il nostro Paese? Eppure, quando andavamo a scuola, avevamo in classe la bandiera italiana. Io sono orgoglioso di essere italiano». È forse mancanza di coraggio? «Non dimentico di essere stato un piccolo artigiano e ora tutelo loro, chi non può fare la voce grossa, quei piccoli artigiani che per un anno mezzo sono vissuti in un tunnel». Ora New York: «Appunto, tra pochi giorni iniziano le sfilate americane. Vista la crisi qualcuno propone di vederle magari via internet? Nessuno si sogna di chiedere una cosa del genere e tutti i giornalisti se ne vanno a New York. Vede, il problema non è l’arroganza di chi chiede ma la debolezza di chi le cose se le fa dettare».

lunedì 8 febbraio 2010

Soltanto Silvio capisce di calcio

Dopo aver letto questo articolo mi sono dovuto ricredere, almeno per quanto riguarda la questione sportiva. Chi scrive è Piero Sansonetti, del quale tutto si potrebbe dire tranne che sia un berlusconiano.
Qui, su Wikipedia il suo curriculum.

Può darsi che l’Inter vincerà il derby. E forse anche lo scudetto. Però il campionato 2009-2010 sarà ricordato in Italia come il campionato di Ronaldinho. È lui il calciatore più forte in circolazione. Gioca a livelli “storici”. Con pochi precedenti (a mia memoria), qui da noi: Sivori, Rivera, Maradona, forse Platini.
© Marco Merlini / LaPresse 17-10-2009 Roma Politica Villa Madama, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, incontra il presidente egiziano Hosni Mubarak Nella foto Silvio Berlusconi © Marco Merlini / LaPresse Rome, 10-17-2009 Politic Villa Madama, italian premier, Silvio Berlusconi, meets egyptian president, Hosni Mubarak
La resurrezione di Ronaldinho è la dimostrazione di un paio di teoremi nella cui validità ho sempre creduto. Il primo è che i giornalisti sportivi non capiscono niente di calcio. Niente. E anche i tecnici, quelli che stanno in panchina, capiscono poco. Il secondo è che Silvio Berlusconi è una delle poche persone che invece il calcio lo conosce. E se il Milan in questi vent’anni ha vinto più di qualunque altra squadra al mondo (molto di più) questo non dipende dai soldi di Berlusconi ma dalla sua sapienza calcistica. Del resto Massimo Moratti ha speso nell’ultimo decennio tre o quattro volte più di Berlusconi, ma sul piano internazionale (quello del grande calcio) è rimasto a titoli zero.

La storia dell’ultima campagna acquisti è esemplare. Ci sono le tre grandi (Inter, Juve e Milan) di fronte alla necessità di rinnovarsi. Perché alcuni giocatori vogliono andar via o per esigenze di bilancio. Compiono scelte opposte: Inter e Juve decidono di spendere molto, e comprano molti giocatori forti. Il Milan decide di risparmiare, non compra praticamente nessuno e addirittura vende il suo grande asso Ricardo Kakà, considerato, assieme a Cristiano Ronaldo e a Messi, uno dei tre giocatori più forti del mondo. I giornalisti e i tecnici, interpellati (ma anche senza essere interpellati) sentenziano privi di dubbi: Inter e Juve si giocheranno lo scudetto e la coppa dei campioni, il Milan va verso il declino, evidentemente perché Berlusconi ha deciso di “dismetterlo”.

Tutto sbagliato. L’Inter rimpinza le sue file già ricchissime; la Juve si assicura due delle perle del mercato (i brasiliani Diego e Melo). Il Milan invece punta sui suoi brasiliani, anche se di scarto: Dida, Thiago Silva, Pato e Ronaldinho, tutti esclusi della nazionale. Perché questa scelta? Perché Berlusconi ritiene che Ronaldinho sia il giocatore più forte del mondo, che Pato sia il futuro giocatore più forte del mondo, che Thiago Silva e Dida siano fortissimi. E siccome pensa anche che Pirlo, a centrocampo, non abbia rivali, decide di fidarsi della sua squadra. Vende Kakà perché ha bisogno di fare cassa, ma anche perché lo considera incompatibile con Ronaldinho, e pensa che questi sul piano tecnico sia più forte. Poi il capolavoro: via Ancelotti, stimato in tutto il mondo, dentro Leonardo. Ancelotti è un allenatore “ordinario”, capace di far fare un gioco pulito alla squadra (sempre lo stesso) ma privo di slanci di fantasia. Leonardo non è un allenatore, è solo un uomo che conosce bene il calcio ed è molto intelligente, fantasioso, carismatico. E siccome Berlusconi ritiene che gli allenatori di mestiere non esistono, meglio Leonardo di un professionista “pulitino”. Se avete visto le ultime tre partite del Milan potete dire tranquillamente che Berlusconi aveva ragione.

C’entra qualcosa tutto questo con la politica? Sì. Berlusconi guida il Milan come guida il suo partito. E il modo assomiglia a quello con cui seleziona la sua “classe dirigente”. Basato sulla fantasia, sull’imprevedibilità, sull’idea - arrogante - che esistono alcuni mestieri un po’ generici (come l’esperto di calcio o il politico) che si possono improvvisare se si posseggono intelligenza e qualità umane. E anche sull’idea che “deprofessionalizzare” (politica e sport) non ostacola l’efficienza e favorisce la modernizzazione. Un esempio? Mara Carfagna. È stata sbeffeggiata per mesi, da deputata e poi da ministra. Si è detto di tutto. Poi si è messa a lavorare. Sicuramente non è una ministra di sinistra, però non si può dire che sia stata inefficiente, o assente, o svampita. Non ha sfigurato, al ministero delle pari opportunità, a paragone di chi l’ha preceduta. È la prima esponente del governo ad avere promosso una massiccia campagna contro l’omofobia, e magari nessuno se l’aspettava da lei.

La prossima sorpresa? Mi aspetto, tra quattro o cinque anni, Leonardo al vertice delle imprese di Berlusconi. Non è un azzardo. Son quasi certo che finirà così.