mercoledì 30 settembre 2009

Parodossi Rai, di tutto di più!

In questo squallido panorama dei media italiani, quasi tutti superimpegnati in gossip escortiferi e d'alcova del premier,  e molto poco sui problemi reali che assillano i cittadini, una voce si alza limpida e chiara: quella del Il Riformista che sposa la tesi del direttore de Il Giornale, per toglere questo odioso balzello della tassa sul possesso del televisore, alias canone. 


Abolire il canone? Finalmente una cosa di sinistra
 
Nel gran casino italiano, può capitare che la cosiddetta stampa di destra dica una cosa di sinistra. Il boicottaggio del canone Rai, anche se fosse puramente e semplicemente una vendetta contro un programma sgradito (Libero e il Giornale propongono lo sciopero fiscale contro Santoro), dovrebbe essere il cavallo di battaglia della sinistra, che di motivi di vendetta ne ha mille. Tutto sommato, fino a giovedì sera protestava che la Rai è occupata dalla destra, faziosa e filogovernativa, serva di codardo encomio al premier e censurante tutte le sue malefatte. Se è vero ciò che ha detto il gran sacerdote della sinistra televisiva, Paolo Gentiloni, e cioè che il 90% della Rai è in mano alla destra e solo il 10% è rimasto alla sinistra, dovrebbe essere quest'ultima a battersi per far saltare il canone Rai che finanzia con i soldi di tutti il dominio di pochi. O, almeno, proporre uno sciopero del canone pro quota: pagare solo il 10% che va a Santoro e a Raitre.

Ma, scherzi a parte, e fuor di contingenza santoriana, l'abolizione del canone Rai sarebbe davvero una cosa di sinistra, se per questo si intende una cosa giusta, equa e moderna.

Innanzitutto il canone è un residuo di un'altra era geologica. Milioni di anni sono passati da quando la nascita della tv pubblica fu finanziata anche con quella tassa. A quei tempi, il semplice fatto di acquistare un apparecchio televisivo ci rendeva utenti della Rai, di un servizio unico gestito dallo Stato. Ma oggi le cose sono completamente diverse. L'uso della tv si è completamente separato dall'utenza del servizio pubblico Rai. Potrei per esempio decidere di acquistare un televisore solo per abbonarmi a Sky. O per acquistare le partite di calcio su Mediaset Premium. O per usare la parabola perché mi interessa la Cnn. E domani per godermi la tv via internet, e nel frattempo per vedere i film che ho scaricato dalla rete, o per giocare ai videogame con i miei figli. Potrei cioè comprare un televisore senza vedere mai né Minzolini né Santoro. Ma sarei ugualmente obbligato a pagare il canone Rai, nel presupposto, non più vero, che lo Stato continui ad essere l'unico fornitore di servizi televisivi.

Trovo anzi stupefacente che né l'Antitrust né l'Unione Europea siano ancora intervenuti a dichiarare illegittimo il canone. Abolirlo, sarebbe dunque in primo luogo moderno.

Sarebbe poi in secondo luogo giusto. Perché il servizio pubblico, in Rai, non esiste più. Non può essere pubblico se è così settario, se spacca così l'Italia in due, se provoca tante polemiche e odio, da una parte e dall'altra. Opporre faziosità a faziosità non è pluralismo, è uso privato (politico) di uno spazio e di una risorsa pubblica. Non è che se la sinistra ha Santoro da contrapporre a Minzolini, la somma totale dia più servizio pubblico. La giaculatoria del servizio pubblico è ormai più una presunzione che una realtà, di cui parlano con tono padronale gli amministratori della Rai, come se noi italiani avessimo bisogno della loro opera informativa e culturale a fini pedagogici ed edificanti. Fino al punto di dover pagare per quel servizio. Mentre invece l'unica speranza di pluralismo sarebbe consentire che nel settore televisivo entri qualche altro concorrente che spezzi il duopolio tra Rai e Mediaset, questo incantesimo in cui vive la tv italiana. L'unico servizio al pubblico che potrebbe utilmente fare la Rai sarebbe sparire, privatizzarsi, vendere due reti a un imprenditore del settore che non debba rispondere a qualche partito politico, e che farebbe comunque lavorare sia Vespa sia Fazio, con gli ascolti che fanno. E trasmettere ciò che davvero è interesse pubblico in un'unica rete, che basta e avanza, finanziata quella sì dal canone.

Ma perdete ogni speranza, o voi che vi siete illusi leggendo la stampa di destra: la destra non lo farà. Già dalla maggioranza hanno precisato che non hanno alcuna intenzione di abolire il canone Rai, ma che hanno tutte le intenzioni di usarlo a proprio vantaggio. E perché mai dovrebbero farne a meno? E qui veniamo alla ragione per cui abolirlo sarebbe invece equo. A favore del canone militano infatti, e a ragione, i principali concorrenti della Rai. Senza canone, l'azienda di Viale Mazzini dovrebbe essere lasciata libera di fare delle cose che i concorrenti fanno oggi in regime di monopolio. Mediaset e Sky sono ben contente di tenere la Rai lontana dal mercato pubblicitario (grazie al tetto che le imposto) o al mercato dei programmi a pagamento (calcio in primo luogo) che così rimangono esclusiva dei due competitori privati. Questa è la prova provata del fatto che la politica sta ammazzando la Rai, se non l'ha già ammazzata. Tenendola in ostaggio per i suoi comodi e facendola pagare a noi col canone. Abolirlo sarebbe dunque un atto rivoluzionario. Qualsiasi cosa rompa o anche solo inceppi il meccanismo infernale del duopolio televisivo italiano sarebbe una cosa di sinistra. Oltre che molto popolare. Provate a chiedere a milioni di italiani che pagano il canone (obbligatoriamente) se sarebbero disposti, avendone la scelta, a spendere gli stessi soldi per un abbonamento a Sky, e vediamo quanti scelgono il canone.


di Antonio Polito 
Fonte: Il Riformista 29/09/2009