sabato 5 settembre 2009

L'ultima imperdibile sull'ex pm Di Pietro


Sarebbe stato un peccato mortale non pubblicare quanto vi propongo senza alcun commento, cosa assolutamente superflua.

L’amico tradito: "Vi racconto io il vero Tonino"
di Gian Marco Chiocci

Il 5 marzo scorso faticammo non poco a convincere Pasqualino Cianci a commentare i tre mesi di sospensione inflitti al suo «avvocato» Antonio Di Pietro. Sei mesi dopo, l’amico-cliente tradito dall’amico-avvocato, non ha più remore né timori. «Chieda pure, chieda...».
Ora che la sentenza è pubblica e visibile a tutti, che può dire di quella vicenda?
«Una vicenda squallida. Credevo di poter contare su un amico vero, se non altro perché ad Antonio ho regalato gran parte della mia vita, aiutandolo e supportandolo specie nei momenti di sua grande difficoltà. Sono stato la sua ombra, sempre vicino anche durante Tangentopoli, vicino pure a Susanna (la moglie, ndr), uno di famiglia, insomma. Poi sulla mia pelle ho scoperto di che pasta era realmente fatto: per meri interessi pubblicitari, chiamiamoli così, in un momento in cui non godeva della luce dei riflettori, non ha avuto alcuna esitazione a buttare a mare l’uomo che più gli era stato amico in cambio di un po’ di visibilità. Ha miseramente tradito l’uomo che s’era precipitato a soccorrergli il padre che era morto cadendo dal trattore, lo stesso uomo che al posto suo s’era recato in ospedale a prendere il feretro della madre. Ecco chi è Tonino. Ha provato ad avvicinarmi chiedendo a un amico di organizzare l’incontro ed essere presente. Io non voglio testimoni, devo guardarlo in faccia. Mi deve dire perché l’ha fatto».
Come andarono effettivamente le cose fra voi?
«Quando mia moglie venne trovata uccisa ed io tramortito accanto a lei, davanti al letto d’ospedale si materializzò all’improvviso lui, da poco diventato avvocato. Ovviamente la cosa mi sorprese positivamente e non ebbi nulla da obiettare quando chiese se poteva assistermi. Dissi di sì anche perché mi offrì di andare a casa sua “perché - sussurrò - a me non mi intercettano”. Rimasi stupito dall’affermazione, e ribattei che io non avevo nulla da nascondere, tantomeno al telefono».
Quindi?
«Si mise al lavoro e a caldo svolse in modo impeccabile il mandato difensivo interrogando testimoni, facendo indagini accurate, chiedendo pure a me un sacco di cose. Aggiunse che dovevo andare fiero di mia figlia Debora che nei primi drammatici momenti aveva avuto la forza di contattarlo a Milano. Inutile dire che, solo successivamente, mia figlia mi ha confessato di non averlo mai chiamato non avendo i suoi recapiti, che erano riservati. È diventato mio avvocato bluffando».
Tutto molto strano.
«Niente al confronto di quel accadde successivamente. Un giorno mi chiama sempre Debora, arrabbiatissima, dicendo che si sono presentati i giornalisti e le telecamere di Chi l’ha visto? a casa. Autorizzati. Pensava che ero stato io. E invece aveva fatto tutto Antonio, cercava solo pubblicità, e la cercava in un momento dolorosissimo per me e per i miei figli...».
Ne è sicuro?
«Assolutamente. Lo cercai per un chiarimento ma non si fece trovare. Quindi a tarda sera, dopo la trasmissione, lo affrontai a casa: gli chiesi se era stato lui a mandare i cronisti perché aveva bisogno di tornare sulla cresta dell’onda. Lo sollecitai ripetutamente a confermare o a smentire anche con un cenno del capo. Non mi rispose né sì né no. Abbassò lo sguardo eppoi mi spintonò violentemente contro il muro. A quel punto l’ho guardato fisso e gli ho detto: “Ho capito tutto, Antonio. Dammi il tempo di prendere le mie cose e me ne vado da questa casa”. E così ho fatto».
Il tradimento vero e proprio, processualmente parlando, quando avvenne?
«In brevissimo tempo e senza una revoca ufficiale del mandato da parte sua. L’ho scoperto andando in tribunale, per caso, una mattina. Era seduto accanto alle parti civili, un tutt’uno col pm. Che scena... non ci volevo credere. Da difensore ad accusatore. Lui, il mio inseparabile amico, trasformato nel più feroce dei detrattori. Ma c’è molto altro...».
Più di così?
(Sorride amaro) «Molto di più. Un giorno chiese a me e ad un amico comune di accompagnarlo all’aeroporto. “Prima però - spiegò quand’eravamo in macchina - devo passare un secondo in procura”. Pensai che doveva consegnare alcuni documenti, invece era salito dal procuratore per denunciarmi! E questo avveniva dopo che, da difensore, aveva consegnato personalmente il mio passaporto in questura. Dopo che da difensore, in alcune interviste, aveva lasciato intendere che l’omicidio poteva anche essere maturato all’interno della famiglia. Capito? Non auguro a nessuno un avvocato così...».
L’esposto all’ordine degli avvocati è così arrivato in automatico...
«Macché. Prima sono andato alla stazione dei carabinieri a denunciare tutte le sue malefatte nei miei confronti. E mentre esibivo carte e documenti i militari si mostravano allibiti, letteralmente preoccupati. Adesso, se permette, la faccio io una domanda: secondo voi qualche magistrato ha mai aperto un’inchiesta su Antonio Di Pietro in relazione ai fatti da me documentati e denunciati?».
Fonte: il Giornale.it del 05-09-2009
Autore: gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
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Per completezza riporto quanto scritto dalla Redazione de il Giornale in merito alla vicenda con l'articolo intitolato:
"L’avvocato Di Pietro va sospeso, ha violato codice e deontologia"

È online l’integrale della «condanna» a tre mesi di sospensione dell’avvocato Antonio Di Pietro. Sul sito del Consiglio Nazionale Forense (www.consiglionazionaleforense.it) a fatica si possono scovare le dieci pagine delle motivazioni con le quali il leader dell’Italia dei Valori è stato duramente sanzionato per l’illecito deontologico - già evidenziato dall’ordine di Bergamo - compiuto ai tempi in cui Tonino aveva abbandonato la toga da pm per indossare quella di avvocato, illecito consumato ai danni di un suo assistito, che peraltro era anche il suo migliore amico. Nel documento in pdf contenuto nella banca dati dell’organo degli avvocati, vi è la prova provata delle scorrettezze e del tradimento compiuto del paladino dei moralisti nei confronti dell’inseparabile Pasqualino Cianci, coinvolto nel misterioso omicidio della moglie avvenuto a Montenero di Bisaccia l’8 marzo del 2002. In pillole: venuto a conoscenza del fatto di cronaca nera nel suo paese natale, l’ex pubblico ministero Antonio Di Pietro si precipitò in Molise a prendere la difesa dell’amico, che ospitò personalmente a casa. Dopodiché, contravvenendo agli obblighi deontologici e infischiandosene delle indagini da lui stesso svolte, lo avrebbe brutalmente rinnegato. Come? Diventando l’avvocato delle parti civili, ovvero della controparte processuale a fianco dell’accusa, non appena ebbe sentore che Cianci sarebbe finito indagato per omicidio. Di Pietro, che oggi straparla contro il «Giornale» sulla vicenda Boffo, ha commesso il peggiore dei peccati: ha tradito la fiducia della persona assistita e l’affetto della persona che più gli era stata vicina nella vita: «La condotta del professionista - è scritto nel documento - integra certamente la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e di fedeltà nei confronti della parte assistita e l’illecito deontologico». La singolare condotta dell’avvocato Di Pietro, ad avviso del Consiglio, cozza violentamente con l’articolo 51 del codice deontologico forense laddove si fa chiaramente divieto al difensore di assumere un incarico analogo contro lo stesso cliente nel medesimo procedimento. Di infrangere quella norma, a Tonino, è fregato poco quando s’è accorto che per Pasqualino si stava mettendo male. Non solo non gli ha detto nulla al momento di passare dall’altra parte, ma al clou dell’inchiesta s’è messo pure a fare lo sbirro per incastrare Pasqualino. Bell’amico. Bell’avvocato. Bell’esempio. La sentenza che lo svergogna è online. Carta canta.

II Consiglio nazionale forense, riunito in seduta pubblica nella sua sede presso il ministero della Giustizia (...) ha emesso la seguente decisione sul ricorso presentato dall’avv. Antonio Di Pietro avverso la decisione (...) con la quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo gli infliggeva la sanzione disciplinare della sospenzione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di mesi tre. FATTOCon esposto (...) il sig. Pa[/TESTO-INFRA]squalino Cianci (...) a quel tempo imputato nel procedimento penale (....) pendente davanti alla Corte d’Assise di Campobasso per l’omicidio di D’Ascenzio Giuliana, in vita moglie dell’esponente, riferiva quanto segue:
1) di aver perduto la moglie assassinata nella casa di abitazione della famiglia, subendo al tempo stesso un’aggressione che ne aveva determinato il ricovero all’Ospedale di Termoli, dal quale era stato dimesso il giorno successivo;
2) di essere stato sentito, qualche ora dopo il ricovero, a sommarie informazioni testimoniali e di essere stato al tempo stesso raggiunto dall’avv. Antonio Di Pietro, appositamente accorso da Milano, in ragione di un antico rapporto di amicizia, tale che subito lo stesso avvocato aveva redatto, di suo pugno, la nomina a difensore dello stesso Cianci, a quel tempo individuato come parte offesa;
3) di essere stato indotto dall’amico difensore, che nel frattempo aveva provveduto alla nomina di un CT (consulente tecnico, ndr) di parte per presenziare all’autopsia sul corpo della moglie, ad alloggiare nella sua casa di Montenero di Bisaccia, dove lui stesso si era trattenuto per diversi giorni, parlando con l’assistito ed assumendo una serie di notizie sui rapporti familiari, sui suoi movimenti e sulla situazione economica della famiglia;
4) che dopo alcuni giorni, senza preavviso, l’avv. Di Pietro gli aveva comunicato la volontà di non più assisterlo, senza dare alcuna giustificazione alla sua decisione e trasferendo la sua difesa ad altro difensore con il consenso dell’assistito, che aveva cieca fiducia in lui;
5) che alla prima udienza davanti alla Corte d’Assise di Campobasso l’avv. Di Pietro si era presentato come difensore delle parti civili, costituito contro l’esponente (Cianci, ndr);
6) che l’avv. Di Pietro aveva fatto uso di informazioniacquisite dall’assistito contro lo stesso e che emblematico di tale situazione era il fatto che, all’udienza del 17 maggio 2005, era stato sentito il teste Antonio Sparvieri, escusso (interrogato, ndr) dallo stesso avv. Di Pietro, quale difensore di Pasqualino Cianci, al tempo parte offesa;
7) che dopo l’escussione dello Sparvieri da parte dell’avv. Di Pietro, quest’ultimo si era fatto conferire il mandato dalle altre parti offese ed aveva depositato (...) memoria, con la quale, in qualità di difensore dei familiari della deceduta Giuliana D’Ascenzo, aveva depositato la nomina di nuovo difensore di fiducia del Cianci, contestuale alla sua rinuncia (...). L’esponente (Cianci, ndr) ravvisava nella condotta del professionista (Di Pietro, ndr) la violazione dei doveri di lealtà e probità e dei doveri imposti dagli artt. 35, 36 e 37 del codice deontologico forense e chiedeva l’apertura di procedimento disciplinare a carico dell’avv. Di Pietro.
ESPOSTO FONDATO (...) L’avv. Di Pietro contestava la fondatezza dell’esposto; ribadiva di non avere mai difeso il Cianci in qualità di imputato; precisava di essere stato designato difensore delle parti civili; escludeva che la sua condotta potesse integrare violazione delle norme (...); escludeva che si fosse determinato un conflitto di interesse fra le parti assistite, avendo egli assunto la difesa delle parti lese ed essendo venuto meno l’incarico del Cianci prima che si verificasse formalmente un qualsiasi conflitto; escludeva, infine, di avere appreso dal Cianci informazioni per lui compromettenti e sosteneva che una sua eventuale rinuncia al mandato processuale avrebbe potuto determinare pregiudizio alle parti lese.
IL FASCICOLO Con delibera (...) il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bergamo disponeva l’apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. Antonio Di Pietro. (...) Dopo alcuni rinvii, acquisita la documentazione prodotta dall’incolpato e svolta l’istruttoria dibattimentale, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bergamo (...) ritenuta la responsabilità disciplinare dell’incolpato, gli irrogava la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per mesi tre.
I MOTIVI DELLA SOSPENSIONE
1) L’avv. Di Pietro aveva assunto la difesa di Pasqualino Cianci il giorno stesso dell’omicidio della moglie di questi e che, in costanza di tale mandato, egli aveva espletato attività difensiva nel suo interesse (...);
2) (...) L’Avv. Di Pietro aveva cessato di assistere il suo difeso (lo stesso Cianci, ndr), per formale revoca del mandato, continuando ad assistere gli altri congiunti della defunta (...);
3) (...) La revoca del mandato celava, in realtà, una rinuncia al mandato da parte del difensore, come emergeva dall’esposto e dalle dichiarazioni rese dall’avv. Di Pietro (...) che si era reso conto della possibilità che il Cianci potesse essere indiziato dell’omicidio della moglie;
4) (...) In entrambi i casi (revoca o rinuncia) il disposto dell’art. 51 dei c.d.f. fa divieto all’avvocato di assumere incarico contro un ex cliente (...);
5) Irrilevante e comunque infondata è la tesi che il difensore avrebbe assunto un mandato collettivo delle parti civili (...)
LA BOCCIATURA Il Consiglio dell’Ordine riteneva la condotta del professionista di rilevante gravità, anche in ragione dei rapporti stretti e confidenziali che egli aveva con il Cianci (...). Avverso la decisione (...) l’avv. Di Pietro ha proposto tempestivo ricorso (...) che non merita accoglimento (...).
È pacifico (...) che:
1) l’avv. Di Pietro ha assunto il mandato di Pasqualino Cianci (...) lo stesso giorno in cui era avvenuto l’omicidio della signora Giuliana D’Ascenzo, quando l’assistito era ancora ricoverato all'ospedale di Termoli;
2) il successivo giorno l’avv. Di Pietro (...) dava incarico al prof. Armando Colagreco di partecipare agli accertamenti di carattere medico legale (...);
3) (...) l’avv. Di Pietro, nella qualità di difensore delCianci, nella masseria di Michelino Bozzelli, procedeva a richiedere informazioni al sig. Antonio Sparvieri consuocero di Pasqualino Cianci (...);
4) il giorno successivo (...) l’avv. Di Pietro acquisiva il mandato, redigendolo di suo pugno, dei genitori e dei fratelli della defunta;
5) (...) l’avv. Di Pietro, quale avvocato di fiducia dei familiari della signora D'Ascenzio, depositava agli atti del procedimento penale memoria difensiva (...) e chiedeva che fossero acquisiti alcuni documenti specifici che si trovavano presso l’abitazione della defunta e del suo precedente assistito Pasqualino Cianci e che fossero svolte presso istituti di credito e nei confronti di privati.
LA CONDANNA FINALE (...) Non vi è dubbio, quindi, che il ricorrente abbia dapprima assunto il mandato dei Cianci e che, solo dopo le prime risultanze istruttorie (...) abbia rinunciato al mandato (...). Non è dubbio che la condotta tenuta dall’avv. Di Pietro integri violazione del disposto dell’art. 51 del codice deontologico forense, che vieta all’avvocato di assumere un mandato professionale contro un proprio precedente assistito. (...) La condotta del professionista integra certamente la violazione dei doveri di lealtà, di correttezza e di fedeltà (artt. 5, 6, 7 del codice deontologico forense) nei confronti della parte assistita (...). All’accertamento della sussistenza degli illeciti contestati, pur nei limiti di cui alla pronuncia, non può che conseguire la sanzione disciplinare. Quanto alla determinazione della sua misura, ritiene questo Consiglio che la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per mesi tre, irrogata con la decisione impugnata, sia adeguata alla gravità dell’illecito compiuto.