giovedì 17 settembre 2009

La codardia di molti, il coraggio di uno solo.

Ci mancava anche quest'altra incredibile "telenovella" di genere sportivo: le accuse del giovane Piquet a Briatore, d.s. del team di F1 della Renault.

Incredibile perchè in F1 vi è tanta di quell'elettronica che monitorizza i parametri tecnici dei bolidi da corsa, ma anche i colloqui fra pilota e squadra, che renderebbe molto semplice constatare se il giovane pilota dica la verità. Resta un fatto: a guidare era lui, ed ammesso ma non concesso (come direbbe il compianto Totò),  che la richiesta di provocare l'incidente gli fosse stata fatta, l'unico responsabile è lui, il pilota.
Sarebbe come dire: suicidati perche la tua polizza sulla vita è a mio favore...
Ma mi faccia il piacere... riparafrasando il grande Totò.


Eccovi,in un interessante articolo, i retroscena della vicenda, tralasciando quelli personali del giovane Piquet alquanto discutibili e palesi, che rendono la decisione di Briatore l'unico Uomo con gli attributi in questo maleodorante circus della F1, FOTA compresa.


LA STORIA / INTRIGHI, ALLEANZE, TRADIMENTI NEL CIRCUS IRIDATO DEI MOTORI

Mosley l’aveva detto «Non sono morto»
Così è partita la Formula 1 dei veleni
La spartizione della montagna di denaro gestita da Ecclestone e la vendetta del presidente federale
 
L’uomo che sta per uscire di scena ha fret ta di chiudere i conti e di sistemare quelle che per lui, probabilmente, sono insopporta bili pendenze: dare scacco matto ai nemici personali; ribadire ai team adesso riuniti sot to l’egida della Fota il primato dell’autorità della Federazione internazionale; sostenere, indirettamente ma anche in modo vigoro so, Bernie Ecclestone, del quale — per sua stessa ammissione — non sarà mai un ami co a tutto tondo ma nemmeno un avversa rio che medita di affossarlo. I ladri di Pisa litigano, ma poi vanno assieme «in missio ne »: ricordate la storiella?

Max Mosley, numero 1 della Fia fino al prossimo 23 ottobre quando verosimilmente lascerà il posto di comando a Jean Todt, che si propone come l’uomo della continuità, anzi della «sua» continuità (ecco un al tro successo politico), deve avere un’agenda riservata nella quale ha annotato nomi e scadenze. Quello di Flavio Briatore è solo l’ultimo sul quale si proponeva di tirare una riga: adesso che mister Billionaire è out, tra volto assieme a Pat Symonds dalla bufera dei fattacci del Gp di Singapore 2008, Mosley può aggiungere un altro scalpo illustre alla collezione. Vengono in mente le sue parole, dopo l’annuncio che non si sarebbe più ricandidato: «Mi danno già per morto e sepolto, ma hanno sbagliato i calcoli».

Detto e fatto: sarà anche stato costretto a farsi da parte, ma nel gorgo ha trascinato altri. Muoia Sansone e muoiano i Filistei: prima di Briatore, era stato Ron Dennis, boss della McLaren, a conoscere la «legge del presidente». Pure in quella vicenda era intervenuto un intrigo di pista: la scorrettezza di Lewis Hamilton verso Jarno Trulli nel Gp d’Australia, apertura della stagione 2009. Anche a Melbourne gli steward della Fia non videro nulla di anomalo, salvo cambiare idea pochi giorni dopo e far partire un «domino», alimentato silenziosamente dallo stesso Mosley, che ha portato alle dimissioni del direttore sportivo della scuderia (Dave Ryan), un pesce però piccolo, e infine a quelle del team principal, Dennis appunto, il boccone gradito a Max.

La tecnica di fare in modo che gli eventi montino come una valanga, affinché travolgano e sommergano la vittima, pare appagante per il grande capo. È la sua arma in una battaglia che prende le mosse da lontano, precisamente da quando le scuderie, risolute a contare di più, hanno costituito un fronte comune. Le squadre hanno cercato subito di mettere limiti al potere della federazione, abituata tra l’altro a giocare con i regolamenti, e a fare in modo che della torta dei diritti commerciali «tagliata» da Ecclestone spetti loro una fetta maggiore.
Il primo atto politico della FOTA risale allo scorso marzo, a Ginevra. Ma l’associazione, presieduta da Luca di Montezemolo, venne costituita nell’estate precedente e il vernissage coincise con i giorni del Gp di Monza. Dopo anni e anni di divisioni e di guerre, le squadre rinunciavano ai principi di un feudalesimo sportivo (traduzione: ognuno bada a se stesso e se mi rompi le scatole muovo le mani) e identificavano temi per un percorso condiviso. Tanto è bastato a far rizzare i capelli sia a Mosley sia a Ecclestone. Più diretto il primo, più sottotraccia il secondo (ma non per questo meno pericoloso). Bernie un po’ stava di qui e un po’ di là, un trasformista della F1 che ha scompaginato vari scenari.

L'altro, invece, ha cominciato a escogitare un piano diabolico. Un progetto a più facce. Da un lato c’è stato l’attacco ai grandi gruppi dell’«automotive», che si erano permessi pubbliche censure in occasione della nota vicenda del le frustate nel parlour sadomaso del quartiere di Chelsea. Mosley ha dato potenti scossoni, però sempre con il sorriso sulle labbra e negando di volere il male di Tizio o Caio. La crisi mondiale gli ha dato una mano e dalla pianta sono cadute prima la Honda e poi la Bmw; a momenti stava per cascare pure la Toyota. La Renault, se Briatore non avesse fatto il beau geste, sarebbe stata la preda successiva.

Quindi Max s’è inventato, secondo lo schema arcinoto «qui comando io e si fa co me dico io», una serie di novità normative all’insegna dell’austerity. Scelta astuta e sostanzialmente inattaccabile (se c’è la crisi, si deve risparmiare), ma proposta con una strategia provocatoria: la cura dimagrante sarebbe stata pesante e rapida. Lui stesso im maginava la difficoltà, anzi l’impossibilità, di portare budget da 300-400 milioni di eu ro a 44 milioni d’un colpo. Ma non gli importava (quasi) nulla: era solo un pretesto, utile anche a scardinare la compattezza della FOTA. Difatti, nel corso di mesi di estenuanti trattative, Williams e Force India hanno «tradito» e almeno un’altra scuderia ha vacillato.

Sono stati i giorni in cui la Ferrari, la Toyota, la Renault e la Red Bull sono state a un passo dal non iscriversi al campionato 2010. Sono stati i momenti in cui si parlava di un Mondiale alternativo. E la McLaren, favorevole a questa soluzione, era costretta a non esporsi perché tenuta sotto scacco dalla Fia. Nel frattempo, dopo aver dato corso alla buffonata di iscrizioni fantasma sdoganando team improbabili, dopo aver comunque alzato la voce con tutti sul fronte delle adesioni al futuro campionato («O firmate, o siete fuori»), Mosley se n’era inventata un’altra per le gare.

Flash back per tornare all’inverno: la ex Honda non solo rinasce sotto le insegne del la Brawn Gp, ma si scopre che va come una spia. Per quale motivo? Monta dei doppi diffusori (è la parte di coda della vettura, che convoglia il flusso in uscita dal sottoscocca, ndr ) che la rendono imprendibile rispetto a chi, fedele oltretutto all’interpretazione di una regola della stessa Fia tesa a ridurre gli effetti aerodinamici, ha progettato auto con uno «scivolo» semplice. Anche la Williams (team molto vicino a Mosley) e la Toyota adottano la soluzione. Le altre sette squadre protestano, ricorrono, ma la Fia conferma la legalità dei doppi diffusori, anche per non delegittimare gli steward che avevano eseguito le verifiche tecniche senza riscon trare nulla di irregolare. Il campionato «strano» (verrebbe da dire falsato) nasce così e in questa maniera prosegue. Alla fine, i team riescono a fare in modo che Mosley rinunci a candidarsi per un nuovo mandato: ma non è la fine del presidente-dittatore. La vicenda di Briatore e Symonds, nata dalla denuncia a scoppio ritardato di Nel sinho Piquet, una storia che è stata immediatamente sfruttata da Max e pure da Eccle stone, è lì a provarlo.

Arianna Ravelli
Flavio Vanetti
Fonte: CorriereSera.it del17/09/2009