domenica 26 luglio 2009

Siamo alle solite. i nostri parlamentari predicano bene ma razzolano malissimo.

Nonostante la crisi e i buoni propositi strombazzati ai quattro venti anche dal presidente della Camera dei deputati, on. Fini, loro signori continuano a prenderci per i fondelli.
Sanno benissimo che il popolo "bue" è distratto da cose molto più importanti . Come quelle che la Repubblica ci proprina da mesi ogni giorno: le prestazioni sessuali del premier, sputtanando l'Italia a livello mondiale.

Nel frattempo lor signori continuano imperterriti, come sempre, a mungere la vacca dello Stato, votando i provvedimenti a loro favore in maniera unanime.
Perchè quando c'è da impinguarsi le tasche, maggioranza e opposizione sono la medesima insalata.
Tengono famiglia anche loro, ma a spese nostre!

Questo reportage di Panorama che vi propongo, lo accerta ulteriormente.

C'è un tesoretto segreto per i deputati
di Daniele Martini

Ci sono mille modi per sprecare soldi: regalandoli a destra e a manca con prodigalità sospetta, buttandoli dalla finestra per il solo gusto di vederli volare, non volendoli risparmiare per principio, comprando cose inutili, conducendo un tenore di vita superiore alle proprie risorse... Quando di mezzo ci sono soldi pubblici il metodo più semplice è pretenderne tanti sapendo che sono troppi e poi utilizzarne pochi con l’intenzione di mettere la differenza al «pizzo», come dicono a Roma. Alla Camera dei deputati si sono specializzati proprio in questo sistema: da anni battono cassa al Tesoro chiedendo e prendendo 10 per poi spendere 7 e mettere 3 da parte. Qualche volta chiedono 9 e poi si atteggiano a Quintino Sella del Terzo millennio; in realtà è come se continuassero a sprecare 2, perché potrebbero fin da principio rivendicare il giusto senza giochetti. Qualche giorno fa, per esempio, è stata diffusa la notizia che per tre anni la Camera non chiederà un incremento della propria dotazione allo Stato e qualcuno ha salutato il fatto come un esempio di rigore, per una volta proveniente dall’alto. Ma è un abbaglio perché i soldi richiesti da Montecitorio restano ugualmente e strutturalmente in eccesso rispetto alle spese preventivate, che non sono né poche né oculate, anzi. Nonostante la crisi, i parlamentari non hanno perso il vizio di non farsi mancare nulla. E i cospicui avanzi di cassa portati a bilancio non sono frutto di parsimonia, ma di un artificio contabile giocato sulla differenza tra bilancio di cassa e di competenza. La riprova è data dal fatto che le spese vere non diminuiscono, ma crescono anno dopo anno: dell’1,5 per cento nel 2008 e dell’1,3 nel 2009 secondo il bilancio di previsione. Senza rinunciare a quasi nessuno dei privilegi che si sono autoconcessi, i deputati nel corso degli anni hanno messo da parte un fondo cassa che non è uno scherzo, un tesoretto di oltre 343 milioni di euro a fine 2008, così come risulta dal conto consuntivo approvato due settimane fa, salito già a 370 milioni a luglio 2009 e quindi pari a più di un terzo dei- l’intera dotazione annuale di Montecitorio, che nel 2008 è stata di 978 milioni. Una dotazione particolarmente ricca e calcolata in modo assai singolare. Dal momento che i deputati sono 630, il doppio dei senatori, e i dipendenti pure (1.800 circa contro i 990 del Senato dopo gli ultimi pensionamenti di luglio), e poiché il Senato ha un bilancio di circa 500 milioni, alla Camera, sostengono i deputati, deve essere erogata una dotazione doppia. Senza considerare, però, che molte spese fisse risultano praticamente identiche dall’una e dall’altra parte. L’aula in cui si vota, per esempio, è una in entrambe le camere, così come il numero delle leggi approvate è ovviamente lo stesso, e le commissioni idem, e via di questo passo. Anche per la Camera dovrebbe valere il principio elementare delle economie di scala, ma forse a Montecitorio le leggi dell’economia valgono a corrente alternata. Ogni volta che si accingono a redigere un nuovo bilancio i deputati questori partono in pratica con un abbuono ricco e quindi se volessero potrebbero davvero offrire il buon esempio all’inclita e al vulgo chiedendo al Tesoro una dotazione ridotta rispetto alla solita. Potrebbero fare il bel gesto invitando il ministro Giulio Tremonti a utilizzare per qualche buona causa più urgente la differenza, una volta tanto ottenendo l’applauso sincero di chi li ha votati. Potrebbero, magari, indirizzare quel surplus ai terremotati dell’Abruzzo; i terremotati, però, non pagano gli interessi, le banche sì: circa 15,4 milioni di curo nel 2008 su depositi e conti correnti della Camera. Ma perché mai a Montecitorio insistono con il trucchetto di succhiare tanto per spendere meno? Che senso ha? Quel di più probabilmente è richiesto per affrontare gli imprevisti, oltre che per lucrare gli interessi. In primo luogo le temutissime interruzioni di legislatura. Quando capitano, e in Italia purtroppo capitano abbastanza spesso, per le camere è un trauma, non solo perché è come se ai peones di Montecitorio e Palazzo Madama franasse il terreno sotto i piedi, ma anche da un punto di vista economico. La fine repentina della legislatura costa un sacco di soldi, dalle spese minime, come quelle per l’imballaggio delle carte dei parlamentari decaduti, al- l’imbiancatura degli uffici per i nuovi arrivati, dalle buonuscite per chi deve dire addio al Palazzo al numero delle pensioni che ovviamente cresce. Le pensioni risultano proprio uno dei capitoli di spesa più cospicui di Montecitorio, 175 milioni circa, anche perché sono concesse con criteri decisamente più generosi rispetto a quelli richiesti ai comuni mortali. Se, per esempio, ai dipendenti normali servono almeno 36 anni di contributi, ai deputati ne bastano 5, un settimo, per un vitalizio baby di tutto rispetto: 3.300 euro. E poi fra gli imprevisti ci può stare anche l’aumento delle indennità. È vero che deputati e senatori hanno giurato che non avrebbero votato aumenti fino alla fine della legislatura, ma di mezzo c’è la crisi: chi potrebbe giurare che, passata la tempesta, a Montecitorio e a Palazzo Madama non tornino subito a far festa con un ritocchino? Perché nel frattempo nessuno si impegna sul serio nel disboscamento della fitta giungla di privilegi parlamentari grandi e piccoli. Dal telefono ai viaggi gratis, dai 4 mila euro al mese per le spese di soggiorno agli altri 4.190 per la cura dei «rapporti con il proprio collegio di appartenenza», ottenuti a titolo di rimborso, sia che quelle spese ci siano state o no, a prescindere, come avrebbe detto Totò, dal momento che non sono richieste ricevute o pezze d’appoggio. I quattrini vengono erogati sulla fiducia, e forse è anche per questo che chi li prende viene chiamato onorevole. Qualche giorno fa la deputata radicale Rita Bernardini ha cercato di correggere l’andazzo: la sua proposta è stata approvata da 49 deputati e respinta da 428. Una maggioranza schiacciante, per una volta bipartisan.
da Panorama del 24 luglio 2009, pag. 60

Assalto al Quirinale

Sulla stampa nazionale è ormai polemica aperta, ma in RAI vige il silenzio quasi assoluto.
Perfino il Riformista, che non è certamente un quotidiano "amico" dell'attuale Governo, prende le distanze dall'ex pm d'assalto Di Pietro.
Lo fa il suo direttore che scende in campo con un' interessante riflessione che vi propongo.


Assalto al Colle
di Antonio Polito

La nuova sedizione. L'ex pm pretende spiegazioni e detta ordini al Capo dello Stato. E tenta un girotondo sotto il Quirinale. La solita condanna non basta più: qui ci vuole un nuovo arco costituzionale che lo isoli.


L'agitazione di Tonino Di Pietro contro il Quirinale ha fatto ieri un rilevante e pericoloso salto di qualità. Finora era stata, per così dire, incidentale: il leader dell'Idv sparava su Berlusconi e colpiva Napolitano di striscio. Da ieri, invece, l'attacco è diretto e personale: Di Pietro tenta apertamente di trascinare il Capo dello Stato nell'arena politica, ingaggia polemiche quotidiane con lui, gli chiede spiegazioni e gli intima comportamenti, e organizza perfino girotondi sotto il Quirinale per metterlo sotto pressione con una vera e propria provocazione organizzata.

Questo è molto pericoloso, e non solo per le forme in cui avviene (giustamente oggi criticate perfino dal capogruppo dell'Udv alla Camera, Donadi, in un'intervista al nostro giornale). È pericoloso perché intacca una prerogativa essenziale del Capo dello Stato, e cioè la sua «irresponsabilità politica». Forse non tutti sanno che neanche nelle aule del Parlamento è consentito ai parlamentari di discutere l'operato del Presidente.

Qui invece abbiamo un parlamentare che addirittura gli intima ciò che deve fare, interferendo su un potere (quello di messaggio alle Camere) che la Costituzione affida in esclusiva al Capo dello Stato.

Non è solo in difesa del bon ton istituzionale, o della figura di Napolitano, che diciamo queste cose. È anche e soprattutto per difenderne i poteri. Si rende conto Di Pietro che il suo comportamento potrebbe indebolire, non rafforzare, proprio quella funzione di controllo e garanzia del Quirinale che lui dice stargli tanto a cuore? Se domani una decisione del Presidente andasse in conflitto con i voleri della maggioranza, qualche estremista dell'altra parte lo accuserebbe subito di aver ceduto alle minacce dell'ex pm.

Meno male che Napolitano ha spalle larghe, e non si lascia intimidire da nessuno. Ma insieme con l'equilibrio dei poteri e con l'ordinato svolgimento della vita istituzionale, l'offensiva di Di Pietro rischia dunque di colpire anche gli interessi dell'opposizione, che dovrebbero fare tutt'uno con il rispetto della Costituzione. E avvelena quotidianamente la lotta politica, come ha ben detto Casini.

L'unica via d'uscita da questa pericolosa situazione è che un nuovo arco costituzionale, di quelle forze cioè che si riconoscono pienamente nei valori della Carta e nel modo puntuale e attivo con cui Napolitano li fa rispettare, isolino il sedizioso. Attenzione: questo non è folklore. Non è neanche solo demagogia, tesa a conquistare qualche facile consenso. Qui sta nascendo un movimento politico, una vera e propria lobby che tra poco avrà anche il suo giornale, il cui programma è cambiare le regole del gioco democratico deligittimando l'arbitro

Dalla Prima pagina de Il Riformista del 24/07/2009

Le bugie di De Magistris: "Mollo la toga, anzi no"


Sempre la solita solfa...
Perdono il pelo ma non il vizio di dire le bugie.
Pubblico quanto scritto sull'ex pm De Magistris.

Un taglio netto col passato? Quando Luigi De Magistris annunciò la sua candidatura nell’Idv, sembrava certo di aver chiuso con la vita da magistrato. «La mia è una scelta irreversibile, anche qualora non dovessi essere eletto», sospirò in conferenza stampa il 18 marzo. Scelta approvata, e confortata, dal parere del leader, l’altro grande ex, Tonino Di Pietro. «De Magistris si dimetterà dalla magistratura subito dopo le elezioni, lo assicuro. Anche lui, come me, pensa che sia una strada senza ritorno una volta che da magistrato si passa alla politica». Una sicurezza che non lasciava spazio a spiragli di sorta. «De Magistris - proseguiva Di Pietro - lascerà con l’amarezza nel cuore». Toga addio, insomma, e pazienza per i rimpianti. Anche perché, ribadiva Tonino nell’occasione, pure se non c’è l’obbligo di rassegnare le dimissioni «io l’ho fatto e De Magistris lo farà». «Per noi questa è una regola non scritta che ci applichiamo, non un generico richiamo», concludeva severo il leader dell’Idv: «Noi ci siamo dimessi perché applichiamo la legge morale». Ma all’ex pm di Catanzaro non andava tanto di farsi tirare per la giacchetta, e le certezze della prima ora un mese più tardi erano meno granitiche. «Me ne andrò dalla magistratura quando lo dico io», spiegò De Magistris. E, pur dicendosi contrario a una legge che impedisse il ritorno alla carriera di magistrato, il futuro europarlamentare ribadì: «Sarebbe inopportuno un mio ritorno, perché la scelta dell’attività politica è per me definitiva. Non mi sono dimesso finora perché trovavo brutale un taglio netto e radicale».
Poi arriva il giorno della chiamata alle urne, De Magistris stravince, ma ancora non si dimette. E ora, l’ultima sorpresa. L’ex pm di Catanzaro dal 18 marzo era in aspettativa per la durata della campagna elettorale. Proprio in occasione di quella richiesta, il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, osservò che «i magistrati che scelgono la politica non dovrebbero tornare più in magistratura», commento che innescò l’annuncio di «irreversibilità» da parte dell’ex pm dell’inchiesta «Why not». Irreversibilità che, però, viene rimandata a un futuro non troppo prossimo. Dieci giorni fa, infatti, Luigi De Magistris ha chiesto con una missiva la proroga del provvedimento che congela il suo posto di lavoro, prolungando l’aspettativa per tutta la durata del mandato parlamentare europeo. Toccherà al plenum del Csm esprimersi sulla sua istanza, presentata dalla Quarta commissione di Palazzo dei Marescialli, e l’appuntamento per la decisione è in calendario tra due giorni, martedì, nel corso dell’ultima riunione del Consiglio superiore della magistratura prima di chiudere i battenti per la pausa estiva.
Insomma la porta per rientrare nei panni che l’hanno reso famoso De Magistris se la lascia aperta, provando a mettere la toga in frigo. L’unico addio resta quello, clamoroso, dall’Anm, annunciato con una lunga missiva all’indomani della decisione del Csm di trasferirlo da Catanzaro. Una lettera nella quale, tra l’altro, l’ex pm rinfocolava le polemiche sul ruolo del suo «accusatore» Vito D’Ambrosio, rappresentante della Procura generale della Cassazione in udienza, per il quale De Magistris non rappresentava «in modo adeguato il modello di magistrato». D’Ambrosio, scriveva il pm, era un «ex politico, che per circa dieci anni è stato anche presidente della giunta della Regione Marche». Ora il politico è lui. Ma, nonostante le «leggi morali» di Tonino, non pare aver voglia di diventare un ex magistrato.

di di Massimo Malpica
Da il Giornale di domenica 26 luglio 2009, 09:51