sabato 3 ottobre 2009

La verità sull'informazione italiana, scritta da sinistra!

Per leggere qualcosa di sensato  in questo bailamme multimediale e che sia scritto dalla sinistra devo, di norma, ricorrere a Il Riformista, diretto da Antonio Polito.

La libertà d'informazione che esiste in Italia è così evidente che soltanto un cieco lo può non vedere.
L'articolo che vi propongo ne é l'ennesima riprova. Dovebbero leggerlo attentamente i vari Mauro, D'Avanzo, Santoro, Travaglio e compagnia dicendo.

Un modo per fare piazza pulita di molti media, stampati e non, sarebbe quella di affidarli al libero mercato, togliendo le sovvenzioni di stato per l'editoria. Ma questa é tutt'altra storia. 



Una Berlinguer nel regime mussoliniano
di Antonio Polito


Il marziano che sbarcasse stamattina a Roma, troverebbe sui giornali due notizie difficili da combinare.
Supponendo che - seppur marziano - sappia qualcosa della storia d'Italia, non gli sfuggirebbe il valore simbolico della nomina di Bianca Berlinguer a direttore di un tg Rai, all'unanimità e quindi con il voto della maggioranza di centrodestra. Oltre che una brava professionista, oltre che colonna storica di quella che un tempo si chiamò Telekabul, oltre che donna indefettibilmente di sinistra, Bianca è anche la figlia del più grande e popolare dirigente comunista italiano dopo Togliatti. Dell'uomo che, col suo martirio finale sul palco di Padova, fissò per sempre l'immagine migliore della sinistra italiana.

Ma, contemporaneamente, il nostro marziano leggerà anche che secondo l'Economist, il più serio e il più liberale dei giornali del mondo, mai dai tempi di Mussolini la libertà di informazione era stata così a rischio in Italia, perché mai dal fascismo in poi «l'interferenza del governo nel sistema dei media era stata più sfacciata e allarmante».

Il nostro marziano resterebbe un po' sbigottito dalla contraddizione tra la denuncia del regime mussoliniano e la nomina della Berlinguer.

Ma se il marziano decidesse di sedersi davanti alla tv per una serata di relax, assisterebbe su Raidue all'intervista in prime time di una prostituta che dichiara di aver fatto sesso a pagamento con il capo del regime, quel Berlusconi lì di cui parlano tutti, a casa sua. E a quel punto non ci capirà più niente: insomma, l'Italia è un paese paragonabile alla Bulgaria, in quanto a indipendenza dei media, o è una democrazia casinara e chiacchierona quante altre mai? Il regime sta imbavagliando i giornalisti - «muzzling», come dice il titolo dell'Economist - oppure i giornalisti non parlano d'altro che del regime e dei suoi vizi?

Spiegare a un marziano come stanno veramente le cose è difficile. E, a quanto pare, stavolta è difficile spiegarle anche all'Economist, caduto in uno dei suoi rari strafalcioni da superficialità. Quando scrive che mai l'Italia aveva vissuto tanta ingerenza sui media da parte del regime berlusconiano, il settimanale deve aver infatti dimenticato quarant'anni di regime democristiano. Ci sono stati tempi - cari colleghi londinesi - in cui in Italia c'era un solo canale e tutto dc, si licenziavano Dario Fo e Franca Rame in tronco da Canzonissima perché si erano permessi una blanda ironia sul governo, tutti i giornali erano filo-governativi, l'opposizione comunista era censurata sistematicamente, ed esisteva letteralmente un solo giornale che si poteva permettere di criticare il governo (si chiamava l'Unità, e io me lo ricordo bene, perché è lì che negli anni 70 ho cominciato a fare il giornalista). Il grado di libertà di informazione che si respira oggi in Italia è incommensurabile con quella lunga epoca - che proprio Berlinguer definì «una cappa di piombo» che gravava sul paese. E un settimanale come l'Economist non può avere amnesie storiche di queste proporzioni.

Naturalmente, è perfino ovvio che in Italia le peculiari condizioni in cui si esercita la libertà di informare sono profondamente diverse da quelle degli altri paesi europei di antica e consolidata democrazia. E la ragione fondamentale sta nel fatto che il proprietario del polo privato della tv è il capo di un partito politico che quando vince le elezioni comanda anche nel polo pubblico. Questa è un'anomalia di seria e perdurante gravità. Che però potrebbe essere risolta in un solo modo: strappando il polo pubblico al controllo della politica, e consentendo a qualche altro polo privato di concorrerere sul mercato.
L'Economist dovrebbe domandare alla sinistra perché questa ovvia soluzione, radicalmente anti-berlusconiana, non è stata da essa mai proposta né sostenuta.
 
La risposta sarebbe che la sinistra non vuole rinunciare a comandare in Rai quando le elezioni le vince lei, e comunque su Raitre anche quando non le vince (il marziano resterebbe ancor più stupito se seguisse in tv, oltre a Santoro e Travaglio, anche Fazio, Dandini, Lerner, Gruber, ecc. ecc.).
È anche vero che gli standard informativi dei nostri tg sono miserandi, sia in termini di completezza dell'infomazione sia in termini di pluralismo (con l'eccezione di Sky, che però non può esser messa tra parentesi), per la semplice ragione che gli editori (politici) dei tg se ne fregano di completezza e pluralismo.

È poi vero che la qualità dell'informazione televisiva non si giudica solo dai tg, e che nei programmi pomeridiani sia di Rai sia di Mediaset si assiste a un festival di demagogia sguaiata e brutale, si incita al razzismo, si celebra la fatuità, si educano intere generazioni allo spirito acritico e debosciato tipico dei regimi, contribuendo a fare della nostra democrazia sempre più una democrazia senza cittadini (anche se su questi programmi nessuno protesta, purché Annozero vada in onda).

Ed è infine vero che Silvio Berlusconi passa un numero sconsiderato di ore a studiare sconsiderate azioni contro la libertà di informazione, per ottenerne in genere solo l'effetto opposto, la santificazione dei suoi torturatori. Sia citando per danni i giornali che si occupano della sua vita sessuale, sia mandando avanti il governo a impicciarsi di programmi Rai quando essi sono già sotto la sua vigilanza (visto che in parlamento ha la maggioranza), sia blaterando contro i giornalisti a lui sgraditi ogni volta che si trova in Bulgaria o nei dintorni.

La sua vera e propria ossessione per i media - non per niente è un tycoon che si è fatto fondando una tv - lo rende dunque il bersaglio perfetto dell'opposizione, e trae in inganno perfino rigorosissimi giornali come l'Economist. Non è escluso che Silvio Berlusconi, se potesse, sarebbe un dittatore. Ma l'Italia è un paese troppo grande e troppo libero perché egli possa essere molto di più che un dittatore da operetta. Prova ne sia, cari colleghi dell'Economist, che in quindici anni ha perso due elezioni su tre, e in entrambi i casi controllava la Rai proprio come ora.

I giornalisti italiani che scenderanno domani in piazza per dar ragione all'Economist non sono in effetti molto liberi, ma lo sono un po' di più di quel collega della Bbc che fu licenziato dopo un processo perché aveva accusato Tony Blair di mentire sull'Iraq (da noi, un giudice ha invece reintegrato Santoro in Rai). E io, giornalista che in piazza non andrà, se permettete mi sento un po' offeso se da Londra mi danno dell'imbavagliato. Se lo fossi mi licenzierei, non chiederei aiuto alla Fnsi per farmi rinnovare il contratto, come ha fatto Travaglio.

 

Fonte: Il Riformista, 2 ottobre 2009