sabato 10 ottobre 2009

La Calabria spiegata a Venditti a partire dal triangolo rettangolo di Tommaso Labate






Perché Dio l'ha creata? 
Un conterraneo di Tommaso Campanella risponde al cantautore romano.

Se il Creatore (o creatore, fate voi) avesse potuto ascoltarne la preghiera con qualche migliaio di anni d’anticipo e non l’avesse creata, la Calabria, a quest’ora il pianista di piano bar e tutti gli altri trentatré reduci della Terza E del Giulio Cesare sarebbero rimasti lì a ricordare quando la Regina d’Inghilterra era Pelè. Di fronte a un triangolo rettangolo, però, l’Antonello e i suoi compagni avrebbero fatto scena muta, osservandolo, il triangolo rettangolo, con la stessa sorpresa del don Abbondio di fronte a una citazione su Carneade da Cirene: «Chi era costui?». L’avrebbero prima visto e poi guardato, ammirato e rimirato, senza sapere da che lato prenderlo, il triangolo rettangolo.

Che nel triangolo in questione la somma dei quadrati costruiti sui cateti equivale al quadrato costruito sull’ipotenusa è cosa nota, in fondo, grazie all’esistenza stessa della Calabria. Fu proprio in Calabria, Magna Grecia, dove Pitagora da Samo si trasferì per fondare la sua scuola, che l’omonimo teorema venne definitivamente messo a punto, diventando poi colonna portante della geometria mondiale, studiata financo nella Terza E del Giulio Cesare dell’anno scolastico 1965/66. Quella dell’Antonello che oggi si chiede e chiede al Creatore (o creatore, fate voi) perché esiste, la Calabria.

Per quanto possa sembrare paradossale, senza la Calabria le fondamenta del Diritto non sarebbero quelle che conosciamo. Zaleuco, uno dei primi legislatori del Creato (o creato) era di Locri. Terra di santi di prima fascia, come san Francesco da Paola, e di filosofi di prim’ordine, come Tommaso Campanella e Bernardino Telesio.

Anche in epoca contemporanea la Calabria vanta il rito del caffè servito con bicchiere d’acqua senza neanche chiederlo, mangiate da padreterno a quindici euro, una coscienza civica e un senso d’appartenenza alla Terra sviluppate ben oltre la media nazionale, le melanzane ripiene, il chilometro più bello d’Italia (così il pescarese D’Annunzio definì il lungomare di Reggio), il bergamotto, la peggior razza di juventini presente sul suolo nazionale (fondamentali per un trattato di antropologia sulla specie così come per le più belle litigate sul calcio), le processioni delle Madonne sul mare, i bar che ancora servono sia la China Martini che lo Stravecchio, l’Amaro del Capo, un aeroporto sull’acqua che per atterrarci serve un brevetto speciale (ancora Reggio Calabria), gli arancini del traghetto per la Sicilia, la montagna, il mare e la collina, tutti e tre insieme, come se lui, Creatore o creatore, avesse deciso di mettere in crisi i capitoli del vecchio sussidiario dedicati alla geografia.

Se non ci fosse stata la Calabria non ci sarebbe l’“Italia”, che si chiama così - anche se Venditti non lo sa - per via degli Itali, ch’erano gli antichi abitanti della regione. Hanno origini calabresi il capo della Cia, l’ex moglie del tennista Borg e l’attuale di Flavio Briatore, quelli che quest’estate hanno picchiato Fabrizio Corona (ricevendo in cambio l’olé nazionale), le attempate tette di Sabina Stilo e le giovani gambe di Miss Italia 2009. E in Calabria, come scrisse Rino Geatano trent’anni fa, si può camminare con quel contadino che forse fa la stessa tua strada, parlare dell’uva e parlare del vino, «che ancora è un lusso per lui che lo fa». E sempre in Calabria, prima dell’alba, è possibile assistere alle straordinarie urla dei banditori d’asta nelle cooperative di pescatori, roba che altrove ci farebbero dieci film e quaranta libri, mentre la Calabria li custodisce gelosamente per sé.

L’incauto Venditti, che ha rivolto la sua pessima domanda al Creatore/creatore ed è stato stanato dal democratico Youtube, s’è giustificato come il più fesso dei bambini colto dalla più ingenua delle mamme con tutte e due le proverbiali mani nell’altrettanto proverbiale marmellata. Dice che la sua era «una denuncia». Perché lui, insiste, ama «quella terra». Se fosse in cerca di materiali per denunce, il pianista di piano bar, sappia che la Calabria è tra i primi produttori del mondo. Una criminalità organizzata che ha soppiantato mafia e camorra, che soffoca l’economia locale, azzanna la politica onesta, attenta alle coscienze. E poi una crudeltà senza confini: come quella dei calabresi che vent’anni fa tennero un ragazzo di nome Carlo Celadon con una catena al collo per ventisette lunghissimi mesi; o di coloro che rinchiusero un bambino piemontese di nome Marco Fiora in un cunicolo di mezzo metro quadrato, costringendolo anche dopo la liberazione a lunghissimi anni di immobilità, fisica e psicologica. Oggi anche le vecchie Anonime hanno un nome o più nomi. Anche sulle ombre, in attesa di legge, ordine e giustizia, c’è un fascio di luce. Chi ama una terra ne denuncia impietosamente i mali, senza mai metterne in discussione l’esistenza. Come un buon genitore che, di fronte alla disgrazia del figlio malato, non si permetterebbe mai di chiedergli il perché della sua stessa nascita.di Tommaso Labate

Se il Creatore (o creatore, fate voi) avesse potuto ascoltarne la preghiera con qualche migliaio di anni d’anticipo e non l’avesse creata, la Calabria, a quest’ora il pianista di piano bar e tutti gli altri trentatré reduci della Terza E del Giulio Cesare sarebbero rimasti lì a ricordare quando la Regina d’Inghilterra era Pelè. Di fronte a un triangolo rettangolo, però, l’Antonello e i suoi compagni avrebbero fatto scena muta, osservandolo, il triangolo rettangolo, con la stessa sorpresa del don Abbondio di fronte a una citazione su Carneade da Cirene: «Chi era costui?». L’avrebbero prima visto e poi guardato, ammirato e rimirato, senza sapere da che lato prenderlo, il triangolo rettangolo.

Che nel triangolo in questione la somma dei quadrati costruiti sui cateti equivale al quadrato costruito sull’ipotenusa è cosa nota, in fondo, grazie all’esistenza stessa della Calabria. Fu proprio in Calabria, Magna Grecia, dove Pitagora da Samo si trasferì per fondare la sua scuola, che l’omonimo teorema venne definitivamente messo a punto, diventando poi colonna portante della geometria mondiale, studiata financo nella Terza E del Giulio Cesare dell’anno scolastico 1965/66. Quella dell’Antonello che oggi si chiede e chiede al Creatore (o creatore, fate voi) perché esiste, la Calabria.

Per quanto possa sembrare paradossale, senza la Calabria le fondamenta del Diritto non sarebbero quelle che conosciamo. Zaleuco, uno dei primi legislatori del Creato (o creato) era di Locri. Terra di santi di prima fascia, come san Francesco da Paola, e di filosofi di prim’ordine, come Tommaso Campanella e Bernardino Telesio.

Anche in epoca contemporanea la Calabria vanta il rito del caffè servito con bicchiere d’acqua senza neanche chiederlo, mangiate da padreterno a quindici euro, una coscienza civica e un senso d’appartenenza alla Terra sviluppate ben oltre la media nazionale, le melanzane ripiene, il chilometro più bello d’Italia (così il pescarese D’Annunzio definì il lungomare di Reggio), il bergamotto, la peggior razza di juventini presente sul suolo nazionale (fondamentali per un trattato di antropologia sulla specie così come per le più belle litigate sul calcio), le processioni delle Madonne sul mare, i bar che ancora servono sia la China Martini che lo Stravecchio, l’Amaro del Capo, un aeroporto sull’acqua che per atterrarci serve un brevetto speciale (ancora Reggio Calabria), gli arancini del traghetto per la Sicilia, la montagna, il mare e la collina, tutti e tre insieme, come se lui, Creatore o creatore, avesse deciso di mettere in crisi i capitoli del vecchio sussidiario dedicati alla geografia.

Se non ci fosse stata la Calabria non ci sarebbe l’“Italia”, che si chiama così - anche se Venditti non lo sa - per via degli Itali, ch’erano gli antichi abitanti della regione. Hanno origini calabresi il capo della Cia, l’ex moglie del tennista Borg e l’attuale di Flavio Briatore, quelli che quest’estate hanno picchiato Fabrizio Corona (ricevendo in cambio l’olé nazionale), le attempate tette di Sabina Stilo e le giovani gambe di Miss Italia 2009. E in Calabria, come scrisse Rino Geatano trent’anni fa, si può camminare con quel contadino che forse fa la stessa tua strada, parlare dell’uva e parlare del vino, «che ancora è un lusso per lui che lo fa». E sempre in Calabria, prima dell’alba, è possibile assistere alle straordinarie urla dei banditori d’asta nelle cooperative di pescatori, roba che altrove ci farebbero dieci film e quaranta libri, mentre la Calabria li custodisce gelosamente per sé.

L’incauto Venditti, che ha rivolto la sua pessima domanda al Creatore/creatore ed è stato stanato dal democratico Youtube, s’è giustificato come il più fesso dei bambini colto dalla più ingenua delle mamme con tutte e due le proverbiali mani nell’altrettanto proverbiale marmellata. Dice che la sua era «una denuncia». Perché lui, insiste, ama «quella terra». Se fosse in cerca di materiali per denunce, il pianista di piano bar, sappia che la Calabria è tra i primi produttori del mondo. Una criminalità organizzata che ha soppiantato mafia e camorra, che soffoca l’economia locale, azzanna la politica onesta, attenta alle coscienze. E poi una crudeltà senza confini: come quella dei calabresi che vent’anni fa tennero un ragazzo di nome Carlo Celadon con una catena al collo per ventisette lunghissimi mesi; o di coloro che rinchiusero un bambino piemontese di nome Marco Fiora in un cunicolo di mezzo metro quadrato, costringendolo anche dopo la liberazione a lunghissimi anni di immobilità, fisica e psicologica. Oggi anche le vecchie Anonime hanno un nome o più nomi. Anche sulle ombre, in attesa di legge, ordine e giustizia, c’è un fascio di luce. Chi ama una terra ne denuncia impietosamente i mali, senza mai metterne in discussione l’esistenza. Come un buon genitore che, di fronte alla disgrazia del figlio malato, non si permetterebbe mai di chiedergli il perché della sua stessa nascita.

Fonte: Il Riformista del 9/10/2009