sabato 21 novembre 2009

Una vera storia dell'assedio a Berlusconi


C'è poco da ridere se Berlusconi, intervenendo per telefono a Ballarò, tirato peri capelli afferma di non essere lui l'anomalia italiana bensì la situazione che lo ha costretto a occuparsi di politica anziché degli affari suoi. Comunisti o no, i giudici hanno favorito l'ex Pci, l'unico partito risparmiato da Tangentopoli, quindi destinato a vincere le elezioni nel 1994 per mancanza (fisica) di avversari che non fossero la neonata Lega e il Msi.

Da notare che gli stessi giudici in seguito, sorpresi dall'exploit alle urne del Cavaliere, politico improvvisato, si sono accaniti su di lui con dozzine di inchieste e centinaia di sopralluoghi nell'evidente intento di spazzarlo via e spianare la strada ai compagni. Non è forse andata così? E se è andata così perché non si può dire, perché non riconoscerlo?
Da notare che i lustri passano, ma le cose non cambiano. Berlusconi vince le elezioni e, subito dopo, ricomincia la persecuzione giudiziaria col solito teorema: lui non poteva non sapere. Chissà perché invece tutti gli altri imprenditori e politici - per esempio Gianni Agnelli e Massimo D'Alema - potevano benissimo non sapere quello che succedeva alla Fiat e a Botteghe Oscure e pertanto farla franca. Basterebbe questo a dimostrare che la nostra giustizia, anziché applicare il principio secondo il quale i cittadini sono tutti uguali davanti alla legge, ricorre spesso al più odioso doppio pesismo: e addio uguaglianza.
Ma la sinistra, avvantaggiandosi assai dell'aiutino togato, se ne guarda bene dal riconoscere la palese iniquità del sistema e, lungi dal collaborare per modificarlo, si impegna nella difesa dell'orrendo status quo. Se il quadro non fosse quello descritto, lo strapotere attribuito ai magistrati sarebbe stato da tempo oggetto di una radicale riforma. Riforma che la destra invoca da anni ma invano stante la necessità, per procedere nei cambiamenti, di ritoccare la Costituzione; il che, come noto, richiede una procedura istituzionale lunga, laboriosa e inconcludente il referendum confermativo.
Semplificando. Per sistemare la giustizia e renderla simile nel funzionamento a quella di quasi tutti i Paesi europei, non è sufficiente la maggioranza di centrodestra; servirebbe almeno una quota della opposizione, la quale però non ha interesse ad apportare miglioramenti ad un settore che, per quanto scassato, le dà una mano contro Berlusconi, e di conseguenza respinge qualsiasi proposta di aggiustarlo. Ecco perché siamo allo stallo.
Il Lodo Alfano era soltanto una pezza e non una soluzione, eppure è stato bocciato non tanto perché incostituzionale (figuriamoci se è questo il motivo) quanto perché, se fosse passato, il premier sarebbe stato processato (caso Mills) al termine della legislatura. Mentre ai progressisti preme sia giudicato in fretta, magari già in primavera, e condannato in maniera che - con una sentenza penale sulle spalle - egli venga costretto ad abbandonare in anticipo Palazzo Chigi in barba alla volontà degli elettori.
D'altronde il Pd e i suoi alleati non hanno alcuna chance per ribaltare la frittata: o fanno secco il Cavaliere con armi extrapolitiche o se lo devono godere finché il Padreterno non decida diversamente. E in effetti, il verdetto sarà emesso dal Tribunale presumibilmente subito dopo le Regionali di marzo. Un verdetto scontato che scatenerà il finimondo e darà fiato ai tromboni pronti a pretendere le dimissioni del presidente. Eliminato il quale - essi sperano - il centrodestra imploderà e si dividerà in alcuni spezzoni incapaci di costituire una forza autonoma di governo.
La sinistra è debole, disorganizzata e senza idee tranne una: sa che per rinascere ha bisogno di uccidere l'avversarlo, non importa come. Ciò che conta è ucciderlo, altrimenti continuerà a dominare la scena perché gli italiani non sono stupidi e hanno capito: lui sarà quel che sarà, ma è sempre meglio - e ne ha dato prova - dei suoi detrattori. I quali dunque, rassegnati alla propria insipienza, affidano ai giudici il compito di scalzare l'uomo che considerano l'unico impedimento alla loro resurrezione. Amen.
Se non si tiene conto di questo, non si comprende la presente congiuntura. Né si comprende perché i mezzi di informazione, quasi tutti manovrati dagli amici del giaguaro, siano tanto impegnati nella enfatizzazione delle oggettive (non gravi) difficoltà della maggioranza. L'obiettivo è stressare il Pdl e la Lega, romperne la fratellanza e predisporre il centrodestra allo sfascio dopo che Berlusconi fosse condannato per la vicenda Mills.
Il presidente, consapevole dell'accerchiamento, d'ora in poi suppongo non perderà occasione per denunciare il gioco sporco alle sue spalle. E intervenuto recentemente a Porta a Porta sul Lodo (si ricorderà la battutaccia sulla Bindi) e l'altro ieri ha concesso il bis a Ballarò, un programma che fa del caos, tutt'altro che calmo, un'arma per trasformare la realtà italiana in una sorta di bolgia di cui incolpare il premier. E per montare la confusione è buono ogni pretesto: dalla crisi economica che non finisce alle sofferenze dei disoccupati, alle incomprensioni fra Tremonti e Berlusconi, alle proteste dei giudici, alle cause intentate alla Repubblica e all'Unità, alle disavventure di Marrazzo surrettiziamente collegate alla Mondadori e allo stesso Silvio, agli strepiti della Bindi con il corrivo sostegno del conduttore Floris, specialista nelle entrate a gamba tesa contro qualunque ospite non funzionale al disegno dei compagni, una mappazza tossica utile a dare ai telespettatori la sensazione che non si possa più andare avanti così, e che il Paese meriti uno scossone rivitalizzante. La parola d'ordine dei progressisti è scandalizzare. Già, perché lo sdegno morale offusca i fatti.
C'è da registrare un fenomeno allarmante: certi metodi in voga nella sinistra cominciano ad attecchire anche nel centrodestra. Se ne è avuta conferma a Porta a Porta, l'altra sera, durante la discussione su quanto capitato a Marrazzo a cui partecipavo anch'io. A un certo punto Lupi, vicepresidente della Camera (Pdl) si è un po' lasciato andare alla moda di intorbidare le acque e, desiderando criticare il giornalismo a sfondo sessuale, ha accomunato le storie dei trans ai pettegolezzi sul Cavaliere e alla faccenda Boffo come se fossero tutte uguali e fossero uguali i giornali che le hanno trattate.
Nella foga, egli ha coinvolto anche il Giornale nella sua ramanzina contro i cronisti. Errore imperdonabile. Perché noi su Boffo non abbiamo fatto pettegolezzi ma discettato di un reato da lui commesso e per il quale il direttore dell'Avvenire è stato condannato da un Tribunale della Repubblica. Da un vicepresidente della Camera ci si aspettava una distinzione fra chiacchiere e notizie ufficiali, pubbliche per definizione se provenienti da un casellario giudiziale.
Niente, per lui un reato (molestie a sfondo sessuale) e un resoconto da portineria sono la stessa cosa, ingredienti della medesima zuppa.
Caro Lupi, d'accordo che siamo nel marasma, ma almeno lei non contribuisca ad incrementarlo. E lasci stare il Giornale, che non è il suo tappetino.

di Vittorio Feltri, Il Giiornale del 29/10/2009