mercoledì 19 marzo 2008

Il Veltroni pensiero sui risparmi che farà se verrà eletto.

Ma perché non dice chiaramente che il primo grande risparmio sarebbe eliminare le Province, ente superfluo e completamente inutile se non per il parcheggio di pOLITICI amici trombati o per riconoscenza.

Ma lui e suoi sodali non sono gli attuali governanti di questa povera Italia?

Perché quello che sta promettendo di fare non l’ha già fatto il suo amico Prodi, presidente del suo partito e presidente in carica del consiglio dei ministri?

«Non voglio inseguire Grillo, non gratto la pancia all’antipolitica. Abbattere i costi per me significa anche e soprattutto più efficienza, meno burocrazia. E più sobrietà, certo, perché ne abbiamo bisogno». Walter Veltroni parlerà ancora, nel suo giro d’Italia, della mannaia che deve cadere sui bilanci dei politici, delle istituzioni, degli enti locali: chiedono troppi soldi ai cittadini. Lo farà sulla base di un vero e proprio “Decalogo del risparmio” che i suoi esperti aggiornano di continuo e continuamente spediscono corretto al fax del pullman. Il segretario del Pd ha chiesto al gruppo di lavoro coordinato da Stefano Ceccanti, Walter Verini e Claudio Novelli non solo proposte, ma anche numeri, dettagli, cioè dove si può risparmiare e quanto. «Dobbiamo dire alla gente: qui possiamo salvare 100 milioni di euro per investirli in un campus universitario, in un’infrastruttura urgente… Occorre fare degli esempi concreti». E dunque non c’è solo il taglio agli stipendi dei parlamentari nel progetto del Partito democratico, ma una road map complessiva sui costi della politica. Per rendere realizzabili le promesse.

Quanto ci costa questo maleodorante carrozzone pOLITICO? Ecco alcune cifre:

Il grosso delle spese della politica sono i 425 milioni del rimborso elettorale che i partiti si spartiranno dal 13 aprile 2008 fino al2013 ai quali vanno aggiunti i 225 milioni che le forze politiche presenti nelle urne del 2006 continueranno ad avere fino al 2010. Per fermare questo fiume di denaro l’idea è ribaltare il sistema del finanziamento ai partiti, privilegiando i contributi privati e riducendo i rimborsi statali. Ma nei dieci punti del loft si passa dalle voci maggiori a quelle minori, proprio perché l’obiettivo è insieme il risparmio e una maggiore qualità del “servizio”. Per esempio, una delle “riforme” punta a unificare le strutture amministrative di Camera e Senato che oggi hanno due biblioteche, due centri studi, due servizi di bilancio, due archivi di documentazione internazionale. Eppure le Camere fanno lo stesso identico lavoro. Questa dicotomia va eliminata. Va anche cancellata una delle differenze più odiose tra il Palazzo e il paese: il metodo di calcolo delle pensioni, che per i parlamentari si chiamano vitalizi. «Dobbiamo parificarlo a quello previsto per la generalità dei lavoratori».

La riduzione del numero di deputati e senatori (470 alla Camera e 100 al Senato), presente nel decalogo, risponde all’esigenza di una riforma costituzionale che elimini il bicameralismo perfetto, ma è anche un’uscita che in questo modo viene ridimensionata. Si possono abolire le province nelle zone dove nascono le aree metropolitane, si devono tagliare i consiglieri comunali e provinciali con un risparmio di 200 milioni. Tra le spese della politica è lievitata negli ultimi anni quella legata alle consulenze, frutto di uno spoil system selvaggio, di un accumulo di cariche, di una gestione poco controllata dei fondi pubblici. La voce «Trasparenza per i contratti della e nella politica» prevede che sul sito unico www.politicatrasparente.it siano pubblicati i nomi dei collaboratori, il loro ruolo, lo stipendio e la durata del contratto.

La stampa di partito poi è diventata un altro mezzo surrettizio di finanziamento alla politica. Bastano due parlamentari per far arrivare parecchio denaro a una testata dipartito o partitino. Il decalogo vuole fermare questa deriva e propone di alzare il numero di deputati necessario e li vincola all’omogeneità politica (non possono essere uno di destra e uno di sinistra). Questa semplice norma quanto fa risparmiare allo Stato? È su queste cifre che stanno lavorando gli esperti. Partendo da una base approssimativa (e forse per difetto) che fissa i costi della politica intorno ai 900 milioni l’anno. E che si può tagliare della metà, ossia di 450 milioni.

Sempre in temi di risparmi sui costi della pOLITICA italiota.

Una sana limata ai costi della politica è ciò che senza dubbio auspicano molti italiani. Ma dire che nel Partito democratico la proposta di Walter Veltroni, quella di allineare alla media europea le retribuzioni di deputati e senatori, oggi le più alte del continente, non abbia fatto né caldo né freddo, sarebbe forse eccessivo. E non soltanto per le conseguenze che il taglio (30% circa, secondo alcune stime) potrebbe avere sul tenore di vita degli inquilini del Parlamento. Il fatto è che gli stipendi degli onorevoli sono una fonte non proprio trascurabile di finanziamento del partito. Riducendosi gli stipendi si potrebbe quindi inaridire anche quella fonte. Ai tempi del vecchio Pci i parlamentari comunisti versavano nelle casse del Bottegone un contributo imponente, fin oltre la metà dell’indennità. Il «prelievo» è poi rimasto in vigore, anche se in forma più ridotta, prima con il Pds e quindi con i Ds. Per essere confermato anche dal Partito democratico. La regola attualmente in vigore prevede che ogni parlamentare del Pd trasferisca al partito 1.500 euro al mese dalla propria indennità. Siccome gli onorevoli democratici sono 280, il totale dà 5 milioni 40 mila euro l’anno. Ma non è tutto, perché ogni parlamentare è poi soggetto a un prelievo locale, che in qualche caso può raggiungere anche 2.000 euro al mese. E se per i diessini è cambiato poco o nulla, con le nuove regole invece i margheritini hanno dovuto tirare un po’ la cinghia. Prima del Pd i parlamentari del partito di Francesco Rutelli sborsavano 1.000 euro al mese per le strutture nazionali, più una somma variabile fra 500 e 1.500 euro per le strutture locali. Garantendo al partito il 10% circa delle sue entrate.
Ogni anno, grazie al «prelievo» sulle buste paga degli onorevoli (naturalmente con l’attuale consistenza della rappresentanza parlamentare) entrano oggi nelle casse del Pd una decina di milioni. Non proprio bruscolini, se si considera che quella è la somma spesa dall’Ulivo per la campagna elettorale del 2006.